Guida per capire correttamente il senso delle notizie su Israele e sui palestinesi
ossia perché i grandi media raccontano Israele in maniera così sbagliata
Un documento importante per capire come e perché i giornalisti raccontano Israele in modo così sbagliato e perché è così importante farlo.
Premessa: tratto da qui e qui (l'originale in inglese da cui è stato tradotto)
La durevole
importanza del conflitto israeliano-palestinese, non sta nel conflitto stesso.
Si trova invece nel modo in cui il conflitto è stato descritto e affrontato
all'estero e il modo in cui questo ha messo a nudo la rinascita di un
vecchio, contorto modello di pensiero e il suo sdoganamento dalla
marginalità della narrativa prevalente in occidentale, e cioè un'ostile
ossessione verso gli ebrei. La chiave per comprendere questa rinascita non
si trova tra i webmaster jihadisti, i teorici della cospirazione, i
cantinari o gli attivisti più radicali. È invece da trovare per prima tra le
persone istruite e rispettabili che popolano l'industria delle notizie
internazionali, persone perbene.
Mentre la mania globale per le azioni israeliane può considerarsi garantita,
essa è in realtà il risultato di decisioni prese da singoli esseri umani in
posizioni di responsabilità, in questo caso i giornalisti e i redattori. Il
mondo non reagisce agli eventi che si svolgono in Israele, ma piuttosto alla
descrizione di questi eventi da parte delle organizzazioni giornalistiche.
La chiave per comprendere la strana natura della reazione si viene così a
trovare nella pratica del giornalismo e in particolare in un
malfunzionamento grave che si sta verificando in quella professione, in
Israele.
In questo saggio cercherò di fornire alcuni strumenti per rendere il senso
delle notizie da Israele. Ho acquistato questi strumenti da addetta ai
lavori.
Questo saggio non è un'indagine esaustiva sui peccati dei media
internazionali, oppure una polemica conservatrice o una difesa delle
politiche israeliane. (Io credo nell'importanza dei media "mainstream", sono
un liberal e rimango critico verso molte delle politiche del mio paese).
Esso prevederà necessariamente alcune generalizzazioni. Inizierò col
delineare i punti centrali della storia d'Israele secondo i media
internazionali, una storia sulla quale ci sono sorprendentemente poche
variazioni tra tutte le strutture informative di mainstream e una che è,
come la stessa parola "storia" suggerisce, un costrutto narrativo che è in
gran parte finzione. Quindi noterò il più ampio contesto storico in cui
Israele è venuto in argomento e discuterò e spiegherò perché credo che
questo sia motivo di preoccupazione non solo per le persone interessate alla
questioni ebraiche. Cercherò di essere breve.
Quanto è importante la storia di Israele?
L'assunzione di personale è la migliore misura dell'importanza di una storia
per una particolare organizzazione giornalistica. Quando ero corrispondente
dell'AP, l'agenzia aveva più di 40 membri di staff che coprivano Israele e i
territori palestinesi. Quello era significativamente più personale
giornalistico di quello che l'AP aveva in Cina, in Russia o in India o in
tutti i 50 paesi dell'Africa sub-sahariana sommati. È rimasto superiore al
numero totale di degli inviati in tutti i paesi in cui le rivolte della
"primavera araba" alla fine esplosero.
Per offrire un senso della scala: prima dello scoppio della guerra civile in
Siria, la presenza del personale permanente di AP in tale paese era
costituita da un singolo inviato approvato dal regime. I redattori della AP
credevano, cioè, che l'importanza della Siria fosse meno di un quarantesimo
di quella di Israele. Non sto focalizzandomi sull'AP - l'agenzia è
totalmente rappresentativa, questo la rende utile come esempio. I grandi
protagonisti del business del giornalismo praticano il groupthink e questi
assetti di personale si sono propagati in tutto il branco. I livelli di
personale in Israele sono diminuiti un po' dal momento in cui le rivolte
arabe sono iniziate, ma rimangono alti. E quando in Israele divampa un
conflitto, come è successo questa estate, i giornalisti sono spesso
trasferiti da altri mortali conflitti. Israele ancora trionfa su quasi tutto
il resto.
Il volume di copertura mediatica che ne risulta, anche quando succede ben
poco, dà a questo conflitto una prominenza rispetto al quale il suo pedaggio
in vite umane rimane assurdamente piccolo. In tutto del 2013, per esempio,
il conflitto israelo-palestinese è costato 42 vite umane, cioè circa il
tasso mensile di omicidi nella città di Chicago. Gerusalemme, di fama
internazionale come città di conflitto, aveva un po' meno morti violente pro
capite, l'anno scorso, di Portland nell'Oregon., una delle città più
tranquille d'America. Al contrario, in tre anni il conflitto siriano ha
provocato una stima di 190.000 vite umane, cioè circa 70.000 più del numero
di persone che siano mai morte a causa del conflitto arabo-israeliano da
quando esso è iniziato un secolo fa.
Le organizzazioni di notizie hanno comunque deciso che questo conflitto è
più importante, per esempio, delle più di 1.600 donne uccise in Pakistan lo
scorso anno (271 dopo essere state stuprate e 193 delle quali bruciate
vive), della cancellazione permanente del Tibet da parte del Partito
Comunista Cinese, della carneficina in Congo (più di 5 milioni di morti a
partire dal 2012) o nella Repubblica Centrafricana e delle guerre di droga
in Messico (con un numero di morti tra il 2006 e il 2012 uguale a 60.000),
per non parlare di conflitti nessuno ha mai sentito parlare negli angoli
oscuri della dell'India o della Thailandia. Essi credono che Israele sia la
storia più importante del mondo o giù di lì.
Cos'è importante della storia di Israele e cosa no.
Un giornalista che lavora nelle strutture della stampa internazionale qui
impara subito che ciò che è davvero importante nella storia
israelo-palestinese è Israele. Se si segue la copertura tradizionale, non
troverete quasi nessuna analisi reale della società palestinese o delle
ideologie o dei profili dei gruppi armati palestinesi o un indagine sul
governo palestinese. I palestinesi non vengono presi esattamente sul serio
come protagonisti del proprio destino. L'occidente ha deciso che i
palestinesi dovrebbero desiderare uno stato a fianco di Israele, in modo
tale che questa opinione viene loro attribuita come un fatto, nonostante chi
abbia trascorso del tempo con i palestinesi reali capisca che le cose sono
(comprensibilmente, a mio parere) più complicate. Chi sono e cosa vogliono,
non è importante: la storia esige che essi esistano solo in quanto vittime
passive della parte che conta davvero.
La corruzione, per esempio, è una preoccupazione pressante per molti
palestinesi sotto il governo dell'Autorità palestinese, ma quando io e un
altro giornalista abbiamo una volta suggerito un articolo sul tema, siamo
stati informati dal capo ufficio che la corruzione palestinese "non era la
storia".
Le azioni israeliane vengono analizzate e criticate e ogni difetto nella
società israeliana è segnalato aggressivamente. In un periodo di sette
settimane, dall' 8 novembre al 16 dicembre 2011, ho deciso di contare gli
articoli provenienti dal nostro ufficio sui vari fallimenti morali della
società israeliana - le proposte legislative per sopprimere i media, la
crescente influenza degli ebrei ortodossi, gli avamposti non autorizzati, la
segregazione di genere e così via. Ho contato 27 distinti articoli, una
media di una storia ogni due giorni. In una stima molto conservativa, in
queste stesse sette settimane il riscontro è stato superiore al numero
totale delle storie significativamente critiche verso il governo e la
società palestinese, inclusi gli islamisti totalitari di Hamas, che il
nostro ufficio aveva pubblicato nei precedenti tre anni.
La Carta di Hamas, per esempio, non invoca solamente la distruzione di
Israele ma anche l'assassinio degli ebrei e accusa gli ebrei di aver
organizzato le rivoluzioni francese e russa e le due guerre mondiali; La
Carta non è stata mai menzionata dalla stampa mentre ero all'AP, anche se
Hamas aveva vinto le elezioni nazionali palestinesi ed era diventato uno dei
protagonisti più importanti della regione. Per indicare il legame con gli
eventi di questa estate: un osservatore potrebbe pensare che la decisione di
Hamas negli ultimi anni di costruire una installazione militare sotto le
infrastrutture civili di Gaza sarebbe stata ritenuta degno di nota, se non
altro per ciò che significava circa il modo in cui il conflitto successivo
sarebbe stato combattuto e il costo che implicava per le persone innocenti.
Ma questo non è il caso. Le postazioni di Hamas non sono importanti di per
sé e sono quindi state ignorate. Ciò che era importante era la decisione
israeliana di attaccarle.
Si è molto discusso recentemente di come Hamas cerchi di intimidire i
giornalisti. Qualsiasi inviato veterano qui sa che l'intimidazione è reale e
l'ho vista in azione io stesso come redattore dell'ufficio stampa di AP.
Durante i combattimenti 2008-2009 Gaza ho personalmente cancellato una
notizia particolare, secondo la quale i combattenti di Hamas erano vestiti
in borghese e i loro caduti venivano contabilizzati nelle statistiche come
vittime civili, a causa di una minaccia verso la nostra inviata a Gaza. (La
policy adottata era allora e rimane quella di non informare i lettori che la
storia è censurata, a meno che la censura non sia israeliana. All'inizio di
questo mese il redattore capo di Gerusalemme della AP aveva segnalato e
presentato una storia sulle intimidazioni di Hamas, la storia è stata messa
nel congelatore dai suoi superiori e non è stata pubblicata.)
Ma se i critici immaginano che i giornalisti chiedano a gran voce di coprire
Hamas e siano ostacolati da teppisti e minacce, generalmente non è così. Ci
sarebbero molti modi a basso rischio per segnalare le azioni di Hamas, se ce
ne fosse la volontà: come editoriali da Israele oppure in forma anonima
oppure citando fonti israeliane. I giornalisti sono pieni di risorse, quando
vogliono.
Il fatto è che l'intimidazione Hamas è in gran parte fuori luogo perché sono
le azioni dei palestinesi a essere fuori luogo: La maggior parte dei
giornalisti a Gaza crede che il proprio compito sia quello di documentare la
violenza diretta da Israele contro i civili palestinesi. Questa è l'essenza
della storia di Israele. Inoltre, i giornalisti sono in affanno per le
scadenze e spesso a rischio e molti non parlano la lingua e hanno solo la
più tenue delle prese su ciò che sta accadendo realmente attorno a loro.
Essi dipendono dai colleghi palestinesi e da faccendieri che o temono Hamas
oppure sostengono Hamas oppure entrambe le cose. I giornalisti non hanno
bisogno che Hamas li costringa lontani da fatti che infanghino la semplice
storia che sono stati inviati a raccontare.
Non è un caso che i pochi giornalisti che hanno documentato i combattenti di
Hamas e i lanci di razzi in aree civili questa estate non provengano in
genere, come ci si potrebbe aspettare, dai grandi organi di informazione
permanentemente stanziati a Gaza. Erano per lo più giornalisti frammentari,
periferici e occasionali, appena arrivati, un finlandese, un team indiano,
pochi altri. Queste povere anime non avevano letto il promemoria.
Che altro non è importante?
Il fatto che gli israeliani poco tempo fa avessero eletto governi moderati
che cercavano la riconciliazione con i palestinesi, e che sono stati
compromessi dai palestinesi, è considerato poco importante e raramente
menzionato. Queste lacune sono spesso non sviste, ma una questione di
politica. All'inizio del 2009, per esempio, due miei colleghi avevano
ottenuto informazioni sul primo ministro israeliano Ehud Olmert e sulla sua
significativa offerta di pace verso l'Autorità palestinese, diversi mesi
prima, che i palestinesi aveva ritenuto insufficiente. Questo non era stato
ancora segnalato ed era, o avrebbe dovuto essere, una delle più grandi
storie dell'anno. I giornalisti avevano ottenuto conferma da entrambi i lati
e uno aveva anche visto una mappa, ma i capo redattori dell'ufficio hanno
deciso di non pubblicare la storia.
Alcuni membri dello staff erano furiosi, ma non è servito. Il nostro
racconto era che i palestinesi erano moderati e gli israeliani recalcitranti
e sempre più estremisti. Segnalare l'offerta di Olmert - come scavare troppo
in profondità Hamas - avrebbe fatto sembrare una sciocchezza quel racconto.
Così siamo stati incaricati di ignorarla e così s'è fatto, per più di un
anno e mezzo.
Questa decisione mi ha insegnato una lezione che dovrebbe essere chiara ai
consumatori della storia di Israele: molte delle persone che decidono quello
che leggerete e vedrete da qui vedono il loro ruolo non come esplicativo ma
come politico. La copertura è un'arma da mettere a disposizione del lato che
loro prediligono.
Come è contestualizzata la storia di Israele?
La storia di Israele è contestualizzata negli stessi termini in uso fin dai
primi anni '90, quelli della ricerca di una "soluzione dei due stati". Viene
ritenuto che il conflitto sia "israelo-palestinese", il che significa che si
tratta di un conflitto posto sul territorio che Israele controlla - lo 0,2
per cento del mondo arabo, in cui gli ebrei sono una maggioranza e gli arabi
una minoranza. Il conflitto sarebbe ben più accuratamente descritto come
"arabo-israeliano" oppure "arabo-ebraico", cioè un conflitto tra i 6 milioni
di ebrei di Israele e i 300 milioni di arabi nei paesi circostanti. (Forse "israelo-musulmano"
sarebbe più esatto, prendendo in considerazione l'inimicizia di stati non
arabi come l'Iran e la Turchia e, più in generale, di un miliardo di
musulmani in tutto il mondo.) Questo è il conflitto che si è dispiegato in
diverse forme per un secolo, prima che Israele esistesse, prima che Israele
conquistasse i territori palestinesi di Gaza e della Cisgiordania e prima
ancora che il termine "palestinese" venisse mai utilizzato.
L'inquadratura "israelo-palestinese" permette agli ebrei, una piccola
minoranza in Medio Oriente, di essere raffigurati come la parte forte. Essa
comprende anche il presupposto implicito che se il problema palestinese
fosse in qualche modo risolto, il conflitto finirebbe, anche se nessuna
persona informata oggi riterrebbe ciò minimamente vero. Questa definizione
permette anche di descrivere il progetto degli insediamenti israeliani, che
credo sia un grave errore morale e strategico da parte di Israele, non come
quello che è, uno dei sintomi più distruttivi del conflitto, ma piuttosto
come la sua causa.
Un osservatore esperto del Medio Oriente non può evitare l'impressione che
la regione sia un vulcano e che la lava sia l'Islam radicale, un'ideologia
le cui diverse incarnazioni stanno ora plasmando questa parte del mondo.
Israele è un piccolo villaggio sulle pendici del vulcano. Hamas è il
rappresentante locale dell'Islam radicale ed è apertamente dedicato alla
eradicazione della enclave minoritaria ebraica, in Israele, proprio come
Hezbollah è il rappresentante dominante dell'Islam radicale in Libano, lo
Stato Islamico in Siria e in Iraq, i talebani in Afghanistan e Pakistan e
così via.
Hamas non è, come si afferma liberalmente, parte dello sforzo di creare uno
stato palestinese a fianco di Israele. Essa ha diversi obiettivi su cui è
molto sincera e che sono simili a quelli dei gruppi qui sopra elencati.
Dalla metà degli anni '90, più di ogni altro protagonista, Hamas ha
distrutto la sinistra israeliana, ha fatto vacillare gli israeliani moderati
nei confronti di eventuali cessioni territoriali e sepolto le possibilità di
un compromesso a due stati. Questo sarebbe un modo più preciso di inquadrare
la storia.
Un osservatore potrebbe anche legittimamente inquadrare la storia attraverso
la lente delle minoranze in Medio Oriente, che sono tutte sotto forte
pressione da parte dell'Islam: quando le minoranze sono impotenti, il loro
destino è quello degli Yazidi o dei cristiani del nord dell'Iraq, come
abbiamo appena visto, quando sono armate e organizzate possono reagire e
sopravvivere, come nel caso degli ebrei e (dobbiamo sperare) dei curdi.
Ci sono, in altre parole, molti modi diversi di vedere ciò che sta accadendo
qui. Gerusalemme è a meno di un giorno di viaggio da Aleppo o da Baghdad e
dovrebbe essere chiaro a tutti che la pace è piuttosto sfuggente in Medio
Oriente, anche in luoghi dove gli ebrei sono totalmente assenti. Ma i
giornalisti in genere non possono vedere la storia di Israele in relazione a
qualsiasi altra cosa. Invece di descrivere Israele come uno dei villaggi
adiacenti il vulcano, descrivono Israele come il vulcano.
La storia di Israele è incorniciata in modo tale da sembrare che non abbia
nulla a che fare con gli eventi nelle vicinanze perché la "Israele" del
giornalismo internazionale non esiste nello stesso universo geo-politico,
come l'Iraq, la Siria, o l'Egitto. La storia di Israele non è una storia
riguardo gli eventi attuali. Si tratta di qualcosa di diverso.
Il Vecchio Schermo Vuoto
Per secoli gli ebrei apolidi hanno svolto il ruolo del parafulmine per le
cattiva volontà delle popolazioni maggioritarie. Erano il simbolo di tutte
le cose che erano sbagliate. Volevi puntualizzare che l'avidità è un male?
Gli ebrei erano avidi. La codardia? Gli ebrei erano codardi. Eri comunista?
Gli ebrei erano capitalisti. Eri capitalista? In tal caso, gli ebrei erano
comunisti. Il fallimento morale era il tratto essenziale dell'ebreo. Era il
suo ruolo nella tradizione cristiana, l'unica ragione per la quale la
società europea sapesse o si curasse di loro in prima battuta.
Come molti ebrei che sono cresciuti nel tardo 20° secolo nelle amichevoli
città occidentali, mi congedai da tali idee derubricandole a febbrili
memorie dei miei nonni. Una cosa che ho imparato, e non solo da questa
estate, è che è stato stupido averlo fatto. Oggi le persone in Occidente
tendono a credere che i mali della nostra epoca siano il razzismo, il
colonialismo, e il militarismo. L'unico paese ebraico del mondo ha provocato
meno danni rispetto alla maggior parte dei paesi della terra e anche maggior
bene, eppure quando la gente va alla ricerca di un paese che simboleggi i
peccati del nostro nuovo mondo dei sogni post-coloniali, post-militaristi e
post-etnici, il paese prescelto è proprio questo.
Quando le persone con la responsabilità di spiegare il mondo al mondo, i
giornalisti, coprono la guerra degli ebrei come maggiormente degna di
attenzione rispetto a quelle di qualsiasi altro, quando si ritraggono gli
ebrei di Israele come la parte ovviamente dalla parte del torto, quando si
omettono tutte le possibili giustificazioni per le azioni degli ebrei e si
nasconde il vero volto dei loro nemici, quello che si sta dicendo ai propri
lettori - lo si intendono fare o meno - è che gli ebrei sono le persone
peggiori sulla terra. Gli ebrei sono la simbolizzazione dei mali che alle
persone civili viene insegnato, fin dalla più tenera età, ad aborrire. La
rassegna stampa internazionale è diventata un'operetta morale che ha come
protagonista un familiare dalla cattiva reputazione.
Alcuni lettori potrebbero ricordarsi che la Gran Bretagna ha partecipato
all'invasione nel 2003 dell'Iraq, i cui effetti collaterali hanno ucciso più
di tre volte il numero di persone mai rimaste uccise in tutto il conflitto
arabo-israeliano; eppure in Gran Bretagna i manifestanti condannano
furiosamente il militarismo ebraico. I bianchi di Londra e Parigi, i cui
genitori non molto tempo fa erano loro stessi sventagliati da persone di
pelle scura nei salotti di Rangoon o di Algeri, condannano il "colonialismo
ebraico". Americani che vivono in luoghi chiamati "Manhattan" o "Seattle"
condannano gli ebrei per il trasferimento del popolo nativo di Palestina.
Giornalisti russi condannano le brutali tattiche militari di Israele.
Giornalisti belgi condannano la tratta degli africani in Israele. Quando
Israele ha inaugurato un servizio di trasporto dedicato ai lavoratori
palestinesi nella Cisgiordania occupata, pochi anni fa, i consumatori
americani di notizie potevano leggere di "segregazione sugli autobus" in
Israele. Ci sono poi un sacco di persone in Europa, e non solo in Germania,
che godono nell'udire gli ebrei accusati di genocidio.
Non è necessario essere un professore di storia, o uno psichiatra, per
capire cosa sta succedendo. Avendo riabilitato se stessi, contro qualunque
probabilità, in un minuscolo angolo della terra, i discendenti di gente
senza potere, che era stata espulsa dell'Europa e del Medio Oriente
islamico, sono diventati ciò che i loro nonni erano stati - la sputacchiera
del mondo. Gli ebrei di Israele sono lo schermo su cui è diventato
socialmente accettabile proiettare le cose che odi di te e del tuo paese. Lo
strumento attraverso il quale viene eseguita questa proiezione psicologica è
la stampa internazionale.
A chi importa se il mondo riceve una storia di Israele sbagliata?
Perché una voragine si è aperta qui tra il modo in cui le cose sono e il
modo in cui esse vengono descritte, le opinioni sono sbagliate, le politiche
sono sbagliate e gli osservatori sono regolarmente resi ciechi agli eventi.
Queste cose sono già successe. Negli anni che portarono alla dissoluzione
del comunismo sovietico nel 1991, come l'esperto di cose russe Leon Aron ha
scritto in un saggio per Foreign Policy nel 2011, "praticamente nessun
esperto, studioso, funzionario o politico occidentale previde l'imminente
crollo dell'Unione Sovietica". L'impero stava marcendo da anni e i segni
erano tutti lì, ma le persone che avrebbero dovuto avvedersene e raccontarlo
fallirono e quando la superpotenza implose tutti ne furono sorpresi.
Venne il tempo della guerra civile spagnola: «All'inizio della mia vita
avevo già notato che nessun evento sia mai riportato correttamente in un
giornale, ma in Spagna, per la prima volta, ho osservato dei racconti sui
giornali che non mostravano alcuna relazione con i fatti, nemmeno il
rapporto che è implicata in una menzogna ordinaria. ... Ho visto, infatti,
una storia scritta non in termini di ciò che era accaduto, ma di ciò che
avrebbe dovuto accadere secondo le varie 'linee di partito'». Questo era
George Orwell, scrivendone nel 1942.
Orwell non scese da un aereo in Catalogna, stando accanto a un cannone
repubblicano e facendosi filmare mentre ripeteva con fiducia ciò che
chiunque altro andava dicendo, descrivendo ciò che qualsiasi sciocco avrebbe
potuto vedere: armi, macerie, corpi. Guardò al di là delle fantasie
ideologiche dei suoi coetanei e sapeva che ciò che era importante non era
necessariamente visibile. La Spagna, capì, aveva davvero poco a che fare con
la Spagna, si trattava di uno scontro tra sistemi totalitari, tedesco e
russo. Sapeva che era testimone di una minaccia per la civiltà europea, lo
scrisse e aveva ragione.
Capire quello che è successo a Gaza questa estate significa comprendere
Hezbollah in Libano, l'ascesa dei jihadisti sunniti in Siria e in Iraq e
lunghi tentacoli dell'Iran. Richiede di cercare di capire perché paesi come
l'Egitto e l'Arabia Saudita ora vedono se stessi come più vicini a Israele
che a Hamas. Soprattutto, ci impone di comprendere ciò che è chiaro a quasi
tutti in Medio Oriente: le forza in ascesa in questa parte del mondo non
sono la democrazia e la modernità. È piuttosto una potente vena dell'Islam
che assume forme diverse e talvolta contrastanti e che è disposta a
impiegare una violenza estrema in una missione di unificazione della regione
sotto il proprio controllo al fine di confrontarsi con l'Occidente. Coloro
che colgono questo fatto saranno in grado di guardarsi intorno e di unire i
puntini.
Israele non è un'idea, un simbolo del bene o del male o una cartina di
tornasole per le chiacchiere in una cena liberal. Si tratta di un piccolo
paese situato in una spaventosa parte del mondo che sta diventando sempre
più paurosa. Va riportato criticamente come qualsiasi altro luogo e compreso
in modo contestuale e proporzionato. Israele non è una delle storie più
importanti del mondo e neanche del Medio Oriente; qualunque sia l'esito di
questa regione nel prossimo decennio, esso avrà tanto a che fare con Israele
quanto la seconda guerra mondiale ebbe a che fare con la Spagna. Israele è
un puntino sulla mappa - un evento secondario a cui tocca il destino di
farsi carico di un'insolita carica emotiva.
Molti in Occidente preferiscono chiaramente l'antico conforto dell'analisi
delle carenze morali degli ebrei e la familiare sensazione di superiorità a
cui questo li porta, piuttosto che confrontarsi con una realtà infelice e
confusa. Essi possono così autoconvincersi che tutto questo sia solo un
problema degli ebrei e che in effetti sia colpa degli ebrei. Ma i
giornalisti si impegnano in queste fantasie al costo della propria
credibilità e di quella della loro professione. Come Orwell ci direbbe, il
mondo si intrattiene in fantasie a proprio rischio e pericolo.
Le verità sul medio oriente
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