La guerra delle immagini
contro Israele
<< Non è a colpi di immagini forti che si ragiona. >>
Premessa: tratto da qui, qui, qui, qui e qui
C’è una guerra che Israele deve affrontare nella quale, purtroppo, Tzahal non
c’entra nulla. L’hanno definita ‘guerra delle immagini’, ma il nome giusto
dovrebbe essere ‘ guerra contro i falsari’, perché non si tratta di combattere
contro eserciti o movimenti terroristi, ma contro una produzione di immagini che
diffondono realtà inesistenti, costruite però in maniera tale da poter passare
per credibili. I mezzi possono essere anche grossolani, rudimentali, non è la
qualità estetica della fotografia che conta, ma lo scoop che quasi sempre si
ottiene.
Alcune immagini possono essere preparate a tavolino prima di essere realizzate.
Altre vengono improvvisate nei luoghi ‘caldi’. Le prime vengono decise da ottimi
propagandisti che analizzano le situazioni più interessanti per danneggiare e
quindi diffamare Israele.
Si scelgono i personaggi adatti alla bisogna – gente qualunque ma con il ‘physique du role adatto’, che con il tempo sono diventati dei veri professionisti, riconoscibili però da chi naviga in internet con l’occhio attento. Immagino che qualcuno prepari una breve sceneggiatura, ecco un padre che corre disperato con il figlioletto grondante sangue (quanto pomodoro!) alla ricerca di una autoambulanza che non arriva. Un padre dal volto che è solo più una maschera di dolore.
Attorno a lui, per nulla preoccupati che l’autoambulanza non arrivi, un gruppetto di fotografi, che gli danno buoni consigli, tieni più in alto il bambino, metti più in evidenza il viso ricoperto di sangue, non muoverti così, sembra che cammini, invece devi correre, urla aiuto se questo rende l’espressione del viso del padre più disperata. Finita la sceneggiata, la foto più riuscita verrà inviata alle agenzie, Reuters, AP, le più importanti, con una breve didascalia che indica il luogo – in genere vicino a una zona il cui bombardamento sia attribuibile a Israele. S
e padre e figlio
sembrano insufficienti, li si riprende in un territorio con edifici crollati,
con un contorno di povera gente con le braccia rivolte al cielo, forse grate per
il denaro, anche se poco, che riceveranno per la prestazione. Il paese dove
questa attività funziona al meglio è il Libano, gli scenari si prestano, non
occorrono ricostruzioni di nessun genere, un paio d’ore sono sufficienti. Dopodichè le foto dalla Reuters & Co. arrivano ai giornali di tutto il mondo,
che pubblicano immediatamente, per documentare la ‘ferocia dell’aggressore
israeliano’.
Il sito di Marco Reis www.malainformazione.it ne cita molti altri, ambientati a
Beirut ma anche in Israele, dove i fotografi, che ben sanno quale è il valore
aggiunto per vendere a scatola chiusa un servizio fotografico, preparano un set
all’aperto, in qualche strada al confine con un villaggio arabo – meglio se
confina con una via frequentata da automobili – e lì istruiscono ragazzini ad
assalire i malcapitati con pietre, mentre tutt’intorno, miracolosamente, si era
radunato spontaneamente un gruppo di fotografi. Inevitabile l’incidente.
Un
ragazzino viene urtato da un’auto colpita, cade sul cofano, l’autista, per
evitare altre pietre accelera, insomma una scena ideale per dimostrare la
rivolta degli > occupati< contro l’>occupante<. Una scena di questo genere è
successa nel villaggio arabo di Silwan, nella parte orientale di Gerusalemme, lo
scorso 10 ottobre, sull’auto c’era un politico israeliano, che vista la mala
parata ha ritenuto più prudente accelerare invece di fermarsi.
Chi vede il breve filmato, su youtube o altrove, non sa che la curva dove è
avvenuto l’incidente porta a una zona militare e che i turni di guardia cambiano
ogni giorno alle 13,15. Per cui organizzare un incidente è, appunto, un gioco da
ragazzi. E da fotografi, come ha documentato bene la ricostruzione di Ruben
Salvadori.
Questi inganni non vengono quasi mai scoperti, i giornali continuano a
pubblicare senza verificare, quelle sono ‘zone calde’, può succedere di tutto,
no ? e poi quelle foto sono ghiotte per una informazione che si pone quale primo
obiettivo la tiratura piuttosto che la verifica delle fonti. Non succede solo in
Italia, però qualche testata quando sbaglia poi si scusa.
E’ rimasta famosa la gaffe del New York Times (30 settembre 2000) quando pubblicò in prima pagina una foto firmata Associated Press, con il titolo “ Un poliziotto israeliano ed un palesatine sul Monte del Tempio”, nella quale si vedeva in primo piano un giovane dal volto ricoperto di sangue e dietro di lui un poliziotto israeliano con in mano un manganello.
Quell’immagine fece il giro del mondo, peccato che la verità fosse un’altra,
l’opposto di ciò che il quotidiano aveva scritto. Il
giovane era un ebreo americano, era appena stato assalito da un gruppo di arabi
e avrebbe fatto una brutta fine se non fosse intervenuto il poliziotto a
salvarlo. Era stato il babbo, negli Stati Uniti, a riconoscere il proprio figlio
e a telefonare a New York Times. Che pubblicò poi la smentita.
Morale: cosa potrà mai fare un poliziotto israeliano con in mano un manganello
se davanti a lui c’è un giovane insanguinato ? Averlo appena picchiato, è
naturale.
E si trattava del New York Times e dell’Associated Press.
E dovremmo stupirci per la rivelazione – si veda il sondaggio presentato alla
Camera dei Deputati da Fiamma Nirenstein – se il 44% degli italiani è ostile
agli ebrei ? Giornali, libri scolastici, convegni accademici, incontri nelle
parrocchie, il nostro paese, con felici eccezioni, è tutto un fiorire di
iniziative contro Israele. Nulla contro gli ebrei, ci mancherebbe ! Poi arriva
quel 44%, e allora si spengono i sorrisi, chi prima elogiava l’Italia per essere
il paese europeo con meno pregiudizi si ricrede e incomincia a chiedersi dove
abbiamo sbagliato. Già, dove.
Vorrei commentare con voi uno dei premi Pulitzer, che sono un po' gli Oscar del giornalismo e sono stati assegnati l'altro giorno. Il premio è diviso in varie categorie, e quello che mi interessa è dedicato alla "photography breaking news" (notizia fotografica) che è stato assegnato al fotografo Massud Hossaini che lavora per France Press. Trovate qui l'immagine: http://www.tmnews.it/web/sezioni/esteri/PN_20120417_00015.shtml .
Come vedrete si tratta di una bambina urlante in mezzo ai corpi insanguinati delle persone uccisi in un attentato a Kabul. “Hossaini che lavora nell'ufficio di Kabul dell'agenzia di stampa stava coprendo una processione sciita il 6 dicembre quando un kamikaze si è fatto esplodere in mezzo a centinaia di persone. L'attentato uccise quasi 70 persone, il più sanguinoso in Afghanistan dopo un attacco all'ambasciata dell'India nel luglio 2008".
Vale la pena di fare alcune considerazioni su questa immagine. La prima è che si tratta dell'attacco di un attentatore suicida islamico a una processione islamica. La ragione è che l'attentatore è sunnita e gli uccisi sono sciiti: dimostrazione che la violenza islamica è in buona parte diretta ad altri islamici (come in Siria, per esempio, in Kurdistan e in generale in Iraq), senza che c'entri nulla né Israele né l'Occidente.
Il fatto è però che questa violenza intraislamica è sistematicamente ignorata dai media e dai politici, che sono in grande maggioranza convertiti all'ideologia terzomondista per cui tutto quel che succede in quegli sfortunati paesi è colpa nostra. Una prova è che questa fotografia, premiata sì, era stata molto poco diffusa al momento dei fatti e che dell'attentato, per quel che mi ricordo e ho potuto controllare, quasi non si era parlato sulla stampa allora. Tutt'altro sarebbe accaduto se questa foto avesse ritratto un bombardamento americano sbagliato, o ancor di più fosse riferibile a Israele.
Vi è una vera e propria industria di false immagini contro Israele, documentata
con cura dal sito specializzato
www.malainformazione.it . E proprio il curatore del sito, Marco Reis, mi ha
fatto arrivare ieri un'ulteriore prova di questa industria, anzi, del suo
riciclaggio. La stessa foto con una bambina ferita, chissà dove e chissà da chi,
attribuita a Israele, ma in due diversi luoghi e in due diversi tempi. Ecco i
due indirizzi di questa moltiplicazione elettronica del dolore e della colpa:
http://www.usmessageboard.com/israel-and-palestine/191592-palestinian-baby-girl-paralyzed-in-israeli-shooting.html
e
http://news.xinhuanet.com/english/2006-05/21/content_4577626.htm .
Ho scritto chissà da dove e chissà da chi, perché davvero in questo ambito il
falso non conosce limiti, e per esempio sono state attribuite ad Israele vittime
di terremoti in Turchia.
Spesso poi accade che si creino dei fatti apposta per filmarli o fotografarli e
attribuirne la colpa a Israele. Sembra sia anche il caso dell'incidente in cui
l'altro giorno è stato “vittima” (forse) un “pacifista” (forse) dell'Ism e che
ha avuto una grande eco sulla stampa israeliana. Leggete questa ricostruzione
dei fatti e del filmato per vedere quali sono i punti di dubbio:
http://danilette.over-blog.com/article-ralenti-de-la-sequence-du-coup-porte-par-l-officier-israelien-103544932.html
.
Insomma le "photography breaking news", soprattutto quelle che ottengono
attenzione, sono spesso taroccamenti più o meno sofisticati. La guerra
contemporanea si fa anche sul fronte della comunicazione e le fotografie in
questo fronte di guerra sono l'arma pesante per eccellenza. E' una guerra
difficile da vincere, perché c'è una complicità ideologica e commerciale fra
agenzie di stampa, giornali (i cosiddetti doorkeepers, i portinai
dell'informazione) gli “informatori locali” (unici giornalisti ormai ad andare
davvero sul terreno, ma parenti e amici dei terroristi o comunque ricattabili
loro e le loro famiglie) e gli islamisti.
Tutto questo è ben noto agli addetti ai lavori, che però evitano di dirlo per mantenere l'illusione di credibilità del giornalismo di guerra. Di fronte a questa fondamentale scorrettezza dell'informazione da Israele, dall'Afghanistan, dalla Siria e da altri luoghi di guerra, la sola cosa che si può fare è vigilare, come facciamo noi e come dovrebbero fare innanzitutto i lettori.
Anche l'uso strumentale dei bambini di Gaza dovrebbe essere respinto con
fermezza. Troppo facile piangere sulla loro morte quando chi la provoca è la
stessa strategia dei terroristi di Hamas, che nessun giornalista ha il coraggio
di chiamare con il loro nome, terroristi, e non miliziani.
Usare i bambini come scudi umani, insegnargli fin da piccoli che devono
diventare 'martiri' e farsi esplodere per uccidere gli ebrei, dovrebbe insegnare
che non è lecito piangerne la morte- e accusare Israele di esserne responsabile-
quando sono gli stessi palestinesi a proclamare di 'amare la morte' e accusare
gli 'infedeli' di 'amare la vita'.
Sacrificare i civili, soprattutto i bambini, rende maledattamente bene, basta
guardare gli articoli sui giornali per verificarlo. L'Occidente ha la lacrima
facile, si commuove, evitando così di ragionare su chi è veramente responsabile
di quelle morti. Costano poco le lacrime di questi coccodrilli, ma rendono
moltissimo a chi le provoca. E i media occidentali fanno da trasmissione. Un
gioco ignobile.
Una volta attraverso una fotografia c’era la
Shoah, l’abbiamo vista centinaia di volte: un gruppo di ebrei di Varsavia,
carichi di sacchi cenciosi, ammassati lungo una strada dai soldati tedeschi e
quel ragazzino con un cappello troppo grande per lui, la stella gialla sul petto
e le mani in alto .
Ora con una fotografia si diffonde l’antisemitismo. Il fotografo svedese Paul
Hansen ha vinto il Premio Fotografico World Press per il 2012 con l’immagine del
funerale di alcuni bambini palestinesi uccisi in un attacco israeliano. La foto
mostra lungo una strada stretta a Gaza, la marcia di un gruppo di uomini che
sostengono tra le braccia i cadaveri: le piccole vittime, fratello e sorella,
sono avvolte in un panno bianco da cui sporgono soltanto i visi.
Questa è la stessa Organizzazione World Press Photo che ha appena fatto chiudere
chiuso una mostra a Beirut perche vi erano esposti dei lavori di un fotografo
israeliano. Che coraggiosa e onesta organizzazione !
Israele sta perdendo la guerra delle immagini contro questi
mistificatori che hanno creato un’industria con l' accusa di "omicidio rituale"
attraverso l’obiettivo.
La fotografia di Tuvia Grossman nel 2000, ne è un chiaro esempio.
Tuvia, uno studente americano in visita a Gerusalemme, stava viaggiando su un
taxi quando un gruppo di palestinesi prese d’assalto la macchina. Sarebbe stato
linciato, se non fosse intervenuta la polizia israeliana per difenderlo
dall’attacco.
La foto dell’incidente - dell' Associated Press - è stata pubblicata sul The New
York Times, con una didascalia che presentava Tuvia Grossman, ferito e
sanguinante, come se fosse un palestinese, mentre il poliziotto israeliano
l'aveva appena colpito con un manganello. Il titolo era: “Un poliziotto
israeliano e un palestinese sul Monte del Tempio”.
La foto ha suscitato una delle più grandi campagne di odio anti-Israele degli
ultimi anni.
Poi è stata la volta di Mohammed al Dura, ad opera del Il giornalismo francese,
che dovrebbe provare vergogna per sempre, per questa menzogna alla Goebbels, che
criminalizza gli ebrei di fronte all’opinione pubblica mondiale.
Come dimenticare le immagini rielaborate con 'Photoshop' di una bomba che
esplode a Beirut pubblicate da Reuters durante la seconda guerra del Libano? Una
donna, la cui istantanea è poi uscita sui giornali mentre veniva salvata tra le
rovine , è stata poi rifotografata in un posto diverso; foto simili sono state
riprese per colpire l'attenzione dei lettori, per dare l’impressione di come la
vita di intere famiglie era stata distrutta.
Come dimenticare le foto del conflitto di Gaza del 2009, ri-usate di nuovo mesi
dopo dal Daily Telegraph per mostrare la vita quotidiana nella Striscia ?
Come dimenticare, durante la Prima Intifada, come i media avevano nascosto
sbarre e oggetti di ferro, coltelli, accette e bombe molotov utilizzati dai
palestinesi, al fine di presentare i terroristi come “manifestanti pacifici”?
Come dimenticare tutti i falsi video di B’Tselem utilizzati dai media
occidentali?
Come dimenticare le fotografie tagliate e distribuite da Reuters che avevano
“omesso” un pugnale brandito da un terrorista su un soldato israeliano ferito
durante l’incidente della Mavi Marmara?
Come dimenticare che l’unico fotografo israeliano a vincere il Premio Pulitzer,
Oded Balilty di Associated Press, aveva ottenuto il premio per la foto di una
giovane donna ebrea che da sola aveva sfidato le forze di sicurezza durante il
pogrom dell’insediamento di Amona in Samaria nel 2006? Quella foto aveva creato
l’immagine dei “coloni” come diavoli e simboli dello sfruttamento ebraico, e
dell’IDF come aggressori di donne indifese ..
Come dimenticare che la barriera di sicurezza di Israele è fotografata più di
qualsiasi star di Hollywood, ma solo nelle sue sezioni di cemento con graffiti
mettendola a confronto con il Muro di Berlino?
Come dimenticare l'invenzione del “massacro di Jenin”, l’uso ripetuto, in
diverse pose, di corpi che spesso non lo sembravano affatto, alcuni si
rialzavano per cambiare posizione, i cadaveri sparsi dappertutto, con una
bambina che alla fine è risultata viva e vegeta ?
I media occidentali tendono a dare un'immagine romantica dei macellai di
israeliani. Quando gli squadroni della morte di Yasser Arafat avevano
assassinato gli atleti israeliani ai Giochi Olimpici di Monaco nel 1972,
qualcuno si è mai chiesto che cosa potrebbe essere più ripugnante di quel che
stavano vedendo ? Ma l’immagine più esibita di quella tragedia furono i cappelli
da cowboy e le kefiyyah dei rapitori.
Quando l’ebreo Daniel Pearl fu rapito e decapitato in Pakistan, il mio giornale
era stato l’unico in Italia che ebbe il coraggio di stampare - in bianco e nero
- le fotografie del suo povero corpo, come un quadro di Caravaggio. L’Ordine dei
giornalisti condannò il mio giornale perché le immagini erano “ troppo crude ”.
Questa è una forma elegante di antisemitismo. I media occidentali hanno
cancellato l’umanità delle vittime israeliane del terrorismo, al fine di rendere
accettabile la fine di Israele. Le vittime ebree non sono mai esistite. E’ lo
stesso processo del negazionismo della Shoah – l’ultima fase per eliminare il
popolo ebraico.
I media occidentali hanno appena scelto di dare il loro premio al funerale
perfetto di Hamas, e non al pianto di una madre israeliana sotto i tavolini dei
caffè ad Ashkelon e a Sderot. Durante l’ultima guerra a Gaza, tutti gli
obiettivi furono puntati su Hamas e gli arabi, non sui civili israeliani.
Quanti giornali occidentali hanno pubblicato le fotografie della famiglia Fogel
a Itamar, madre, padre, tre fratelli ( di 11 anni, tre anni e tre mesi di età),
con la gola tagliata? I Fogel, tutti, fino al lattante decapitato, erano meno
umani delle vittime arabe e quindi meno meritevoli di indignazione occidentale.
Il massacro di Itamar è stato perdonato, dato che la “rabbia” dei criminali è
pienamente giustificata agli occhi del mondo. I bambini di Itamar erano dei
“coloni”, quindi, naturalmente, dei criminali.
Quando il governo Netanyahu aveva deciso di diffondere le foto del massacro di
Itamar, Yedioth Ahronoth mi ha chiesto se i media europei avrebbero pubblicato
le immagini. Questa è stata la mia risposta: “Per pubblicare delle immagini così
violente è necessario che ci sia un direttore coraggioso. I media hanno
sottolineato il fatto che si trattava di una famiglia di coloni, di fatto un
messaggio subliminale, lasciava intendere che l’omicidio era ammissibile”.
Twitta la Nakba e demonizza con foto “coloni” e soldati israeliani, così
otterrai un premio prestigioso con generoso assegno. Così funziona il pogrom
multimediale. Si sta dalla parte di Israele solo quando gli ebrei sono sconfitti
o morti. Ci è stato detto che gli attentatori suicidi arabi sono “l’arma dei
deboli”. Ora si può aggiungere all’elenco dell' arsenale terroristico
palestinese le foto ch escono sui giornali occidentali. Un annuncio di morte.
Foto e notizie che incitano all’odio: tra breve arriveranno sul vostro giornale.
I media italiani sono quasi tutti totalmente subornati alla propaganda di Hamas, che sfrutta cinicamente le vittime civili – molte delle quali sono letteralmente costrette dai terroristi a restare nelle case o a salire sui tetti – per muovere a pietà l’Occidente.
I nostri media ogni giorno si prestano alla pornografia della morte, ogni giorno titolano in prima pagina sui morti innocenti: così l’attenzione non è più sulle ragioni della guerra, sul terrorismo di Hamas, sull’offensiva fondamentalista islamica che da Mosul a Gaza ha come obiettivo i valori e le libertà dell’Occidente, ma sui bambini, decontestualizzati e angelicati nel pantheon delle emozioni mediatiche: e chi non inorridisce di fronte a un bimbo morto ammazzato?
I nostri media non osano scrivere che Israele uccide senza scrupoli, ma probabilmente lo pensano e di sicuro vogliono farcelo credere. Giocano con i sentimenti e ricattano ogni giorno i lettori: da una parte ci sono i bambini morti, e dall’altra c’è – senza dirlo mai esplicitamente, per paura e vigliaccheria – un esercito spietato, un governo spietato, uno Stato e un popolo spietati.
Israele non è spietato. Non è neanche guerrafondaio: non lo è mai stato. Tutte le guerre che Israele ha dovuto combattere dal 15 maggio 1948, cioè dal giorno della sua nascita, sono state e sono guerre di difesa. Ogni volta che Israele è stato costretto a prendere le armi e a versare il sangue dei suoi figli, è perché ha subito un attacco mortale. Questa guerra non è diversa: Hamas, attraverso i tunnel e con i razzi, ha colpito e colpisce Israele, e Israele non ha altra scelta che difendersi.
Di tutto questo ai media italiani importa molto poco. La guerra è uno spettacolo, e più grande è l’orrore più il pubblico accorre. I bambini morti commuovono e lo sdegno assolve la coscienza: e che importa se Hamas ha scritto nel suo statuto che Israele va cancellato dalla carta geografica, o che nascondere i razzi nelle scuole e negli ospedali è un crimine contro l’umanità, o che i tunnel con aria condizionata costruiti per ammazzare i cittadini israeliani potrebbero accogliere i civili palestinesi durante i bombardamenti e ridurre a zero le vittime.
Così monta nell’opinione pubblica un’ondata molto pericolosa, che comincia col distinguere dottamente fra gli ebrei – una specie di idea platonica da commemorare compunti nel Giorno della Memoria – e il governo di Israele, poi s’allarga allo Stato ebraico nel suo insieme, la cui stessa esistenza è considerata un’anomalia, e infine sfocia nell’antisemitismo esplicito, nell’assalto ad una sinagoga a Parigi o nelle botte ai calciatori del Maccabi Haifa in Austria. Di questo l’informazione porta una responsabilità pesante, di cui prima o poi dovrà rendere conto.
Criticare Israele non è antisemitismo: lo fanno molti ebrei e lo fanno molti israeliani (non altrettanto si può dire dell’altra parte). Ma dipingere giorno dopo giorno Israele come un mostro, speculando sui sentimenti più elementari dell’opinione pubblica e rifiutandosi di illustrarne le molte ragioni, produce nel tempo un diffuso e pericoloso sentimento antiebraico, tanto più intollerabile quanto più è evidente che Israele, in questa come in tutte le altre guerre, è la vittima.
Israele ha il diritto di continuare a combattere fino a che l’ultimo tunnel e l’ultimo razzo di Gaza non saranno annientati (o fino a quando Hamas non annuncerà il disarmo unilaterale), perché ha diritto ad esistere. Che altro dovrebbe fare, che altro potrebbe fare Israele per fermare la guerra? L’unica opzione che il terrorismo palestinese gli offre è scomparire. L’unica scelta che ha è difendersi. Chi non comprende a fondo questo punto, chi specula sui morti innocenti e si nasconde, naturalmente in nome della “pace”, dietro un’ammiccante equidistanza, fa la parte dell’utile idiota di Hamas. E una scelta legittima, ma bisogna saperlo e assumersene la responsabilità.
Quello che invece non arriverà sui giornali dell'Occidente è il terrorismo
contro Israele, perché si è deciso di tacerlo. E non ci stiamo riferendo solo
alle migliaia di razzi lanciati in tempo di pace dai palestinesi sulle case dei
civili israeliani negli ultimi anni. Ad esempio, la lezione morale da ricavare
dal massacro della famiglia Fogel è il silenzio.
I due assassini erano entrati in casa mentre la famiglia dormiva. Hanno tagliato
la gola al padre, poi hanno sparato alla madre e ai figli. Questo terribile
destino è stato condiviso da due famiglie: i Clutter in Kansas nel 1959 e i
Fogel a Itamar nel 2011.
Ma mentre la prima famiglia è stata immortalata dal capolavoro di Truman Capote
“A sangue freddo”, i Fogel sono diventati invisibili.
E’ vero che in tanti, da tutta Israele - non solo dalla Samaria- sono venuti due
giorni fa a piangere quella famiglia meravigliosa, ma la lezione morale di quel
massacro è il silenzio.
Nessuno in Occidente oggi conosce la storia dei Fogel di Itamar, padre, madre e
tre bambini massacrati una notte. I Fogels non si sono meritati un Truman
Capote.
L’Occidente ha deciso che il terrorismo contro Israele è una violenza che non ha
bisogno di essere mostrata, che non merita copertura mediatica. E’ successo a
quella ventina di adolescenti fatti saltare in aria da un attentatore suicida
davanti a una discoteca di Tel Aviv, a quei soldati che avevano sbagliato strada
e vennero linciati a Ramallah, al coraggioso rabbino che morto nel tentativo di
salvare i rotoli della Torah sulla tomba di Giuseppe,agli addetti alla sicurezza
caduti in un’imboscata mentre cercavano di proteggere i fedeli che tornavano a
casa dalla preghiera di Shabbat presso la Tomba dei Patriarchi a Hebron, alla
maestra d’asilo uccisa quando il minibus è stato attaccato da uomini armati
palestinesi.
Tutti questi morti ammazzati dai terroristi arabi sono le vittime di Israele
“che domina un paese straniero”.
Prima di ogni altra cosa, la Shoah è stata un attacco ontologico contro il nome
ebraico. Nel 1938, l’ufficiale nazista Hermann Göring ordinò che al nome sulla
carta d’identità degli ebrei fosse aggiunto “Israele” per i maschi e “Sarah” per
le femmine.
Gli ebrei sono stati catturati a milioni e deportati in luoghi anonimi e
lontani, privati di tutti i bagagli, lettere, fotografie e ricordi dei propri
cari. Poi hanno separato madri, sorelle, figli, mogli. Tutti sono stati
spogliati, i loro documenti, i loro nomi, sono stati gettati nel fuoco. Infine,
sono stati spinti dentro a un corridoio dal soffitto basso e pesante. Per essere
gassati come insetti.
La Shoah è stata il motore di sterminio di sei milioni di ebrei europei. Il
terrorismo islamico e la negazione della Shoah, diffusi nel mondo a macchia
d’olio dopo l’11 settembre del 2001, si nutrono dell’ annullamento dell’ebreo in
quanto vittima.
L’Occidente sa che nel 1988 Tirza Porat è stata uccisa nei pressi di Elon Moreh?
Tirza è stata la prima vittima civile israeliana a morire nella Prima Intifada
ed era solo una scolara. La stampa occidentale l’aveva incolpata per non esser
stata lontana “dagli irrequieti villaggi palestinesi”. Non una parola di
condanna ai leader arabi per aver spinto pervicacemente bambini di 5 anni a
unirsi a gruppi criminali che lanciavano pietre e bombe Molotov, ma hanno
accusato Tirza per essersi offerta come vittima.
L’Occidente sa che nel 2001 Shalhevet Pas è stata colpita a morte da un cecchino
arabo che aveva preso la mira dalla sua finestra a Hebron? L’Occidente sa che
Hila, Hadar, Roni e Merav Hatuel sono stati massacrati con Tali, la loro mamma
incinta, sulla strada che porta a Gush Katif? L’Occidente sa che Rachel Shabo di
Itamar è stata assassinata con tre dei suoi figli, Avishai, Zvika, e Neria?
L’Occidente sa che Danielle Shefi di 5 anni è stata uccisa nel suo letto ad
Adora, mentre la sua mamma guardava con orrore il sangue della figlia che
fuoriusciva attraverso le coperte?
Il Los Angeles Times ha scelto di pubblicare in una pagina interna le foto di
Danielle con il suo orso Winnie the Pooh. Avrebbero dovuto essere in prima
pagina. Questa bambina ebrea non era stata uccisa in un’azione militare. E’
stata uccisa da un arabo che, guardandola, le ha sparato in testa. Come i
Clutter in Kansas.
L’Occidente sa che Yehuda Shoham è stato colpito alla testa da una pietra,
mentre i suoi genitori stavano tornando a casa a Shiloh?
L’Occidente sa che Rami Haba, un bambino ebreo di 8 anni, è stato ucciso in una
grotta nei pressi di Elon Moreh nel 1987? Una pietra insanguinata trovata
accanto al corpo era stata usata per schiacciargli il cranio. Rami aveva grandi
occhiali e un viso innocente.
L’Occidente sa che Shaked Avraham, un bambino di sette mesi di Negohot, è stato
ucciso da un terrorista che aveva superato la recinzione del villaggio mentre i
residenti stavano celebrando Rosh Hashana, il Capodanno ebraico? L’Occidente sa
che Shaked aveva appena iniziato a muovere i suoi primi passi?
Fedele all'idea dell'antisemitismo moderno, il terrorismo contro Israele non può essere pubblicizzato in occidente altrimenti si vanificherebbero i grandi tentativi messi in atto per cancellare il ruolo di vittima degli ebrei e di Israele: poi sarebbe più difficile convincere la gente che gli ebrei sono i cattivi ed i loro aggressori i buoni.
Le verità sul medio oriente
oltre la propaganda antisemita
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